Un’esperienza unica si è appena conclusa. Probabilmente alimentata dalla Bora triestina è volata tutta d’un soffio. In soli cinque giorni si sono condensati rocamboleschi eventi che mi hanno permesso l’approdo in terra friulana. Data la concomitante presenza di Wimbledon, sono stato incerto fino all’ultimo sulla partecipazione al corso di Craniosacrale.
Il suo fondatore, Upledger, rappresenta l’emblema di un cambio di prospettiva nel mondo osteopatico. Da medico e osteopata si è sempre interrogato sui limiti della sua pratica clinica e di quanto l’esecuzione tecnica manuale possa incidere positivamente ai fini terapeutici. Le sue ricerche hanno portato a snellire molto la stratificazione e l’autocrazia del mondo terapeutico osteopatico. Probabilmente è per questo che ancora oggi la tecnica craniosacrale trova difficoltà di integrazione con l’osteopatia.
Probabilmente la tipologia di apprendimento induttivo aveva stancato lui, così come aveva saturato me. Ci sono voluti sei anni prima che aprissi la mente di nuovo a un apprendimento pratico di qualcosa scientifico. L’interruzione di questa intolleranza è avvenuta proprio a Trieste in questi giorni.
Questi anni sono stati utili perché hanno messo in risalto i miei limiti e fatto emergere soprattutto i miei paletti dietro i quali schermavo le mie insicurezze (o le mie ignoranze). Inizialmente riuscivo a mascherarli con l’ausilio di letture scientifiche mirate, ma dentro di me pulsava l’incessante desiderio di confronto.
Quando sei da solo nel tuo studio puoi avere un confronto ‘em’patico col paziente e la sua problematica. Questo ti permette di renderti strumento di supporto fintanto che tale confronto sussiste. Quando, invece, condividi i tuoi limiti con i tuoi colleghi si crea un confronto di tipo ‘sim’patico.
Apparentemente sembra una cosa scontata, e forse lo era anche per me. In un gruppo di persone è sempre possibile trovare qualcuno più bravo o più portato di te. Spesso la difficoltà del confronto nasce proprio dall’idea di sentirsi inferiori. Qualcuno (o a volte tutti) sa ‘fare’ più di me.
Ma in un corso di osteopatia succede qualcosa di magico. Ti spogli della veste di terapista e diventi paziente. Solo così puoi entrare nel vivo della materia e apprezzarne i suoi limiti. Per quanto una tecnica possa essere eseguita perfettamente dal migliore manipolatore al mondo, può risultare comunque inefficace.
Ci potremmo chiedere allora perché non farsi semplicemente trattare. Semplice, sussisterebbero le stesse sovrastrutture terapista/paziente, senza un confronto costruttivo e formativo.
Quattro giorni di corso intenso per aprirmi ai nuovi confini dell’ignoto. Emblematico e suggestivo sapere che tutto questo sia avvenuto in una terra di confine come Trieste. Una città inclusiva e multietnica a pochi metri dall’Austria, Slovenia e Croazia. Racchiude in sé un cuore Romanico nella storia austroungarica. Un popolo profondamente consapevole delle sue origini. Non si chiede quale natura debba prevalere ma come renderle funzionali insieme.
Noi terapisti abbiamo, quindi, l’obbligo di fornire al paziente gli strumenti terapeutici più validi senza dimenticarci che l’unico artefice della guarigione non è la terapia, ma il paziente stesso.
Bibliografia e riferimenti
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